Resterà in vigore fino al prossimo 27 agosto il fermo biologico per la pesca sul versante Adriatico. E con lo stop alle attività e la minore quantità di pesce fresco disponibile per la vendita, le associazioni di categoria mettono in guardia i consumatori sulla qualità e la provenienza dei prodotti acquistati.
In particolare, le attività si fermeranno da Trieste ad Ancona e da Manfredonia a Bari, mentre nel tratto da San Benedetto e Termoli lo stop varrà dal 15 agosto (fino al 13 settembre). Per quanto riguarda il Tirreno il fermo scatterà fino a Roma dal 9 settembre all’8 ottobre e da Civitavecchia a Imperia dal 16 settembre al 15 ottobre. Per Sicilia e Sardegna sarà, invece, fissato per un mese tra agosto e ottobre su indicazione delle Regioni”.
In un Paese come l’Italia che importa dall’estero 8 pesci su 10, nei territori interessati dal fermo biologico il rischio – sottolineano le associazioni di categoria – di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotto straniero o congelato. Il consiglio: Per effettuare acquisti di qualità al giusto prezzo il consiglio degli esperti di settore e’ dunque di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa). Le provenienze sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta).
“Nonostante la riduzione del periodo fisso di blocco delle attività, l’apertura alla tutela differenziata di alcune specie e la possibilità per le imprese di scegliere i restanti giorni di stop, il giudizio sull’assetto del fermo pesca 2019 non può essere positivo da parte delle associazioni di categoria poiché la misura continua a non rispondere alle esigenze della sostenibilità delle principali specie target della pesca nazionale, tanto che questo ha determinato nel periodo un crollo della produzione la perdita di oltre 1/3 delle imprese e di 18.000 posti di lavoro.