Ogni quindici ore – nel 2018 – un amministratore pubblico ha subito un atto intimidatorio: un fenomeno che vede la Campania in maglia nera ma con Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna alle spalle e le prime proiezioni per il 2019 tutt’altro che rassicuranti. I numeri sono quelli del report di Avviso Pubblico presentato nella Capitale. 574 le minacce censite su scala nazionale negli ultimi 12 mesi, in crescita rispetto alle 537 del 217 ed il 66% dei quali registrato al Sud e nelle isole. Nel Mezzogiorno la criminalità sceglie forme più plateali che nel resto del Paese per far sentire la propria presenza, a partire dagli incendi, come quello al portone d’ingresso di Monte Sant’Angelo – nel Foggiano – dopo la marcia per la legalità di qualche ora prima, ma ci sono anche aggressioni fisiche e verbali, telefoniche e non e quelle sui social network, in crescita dal 9 al 12%. In altri casi, il messaggio porta la firma e forma di parti di animale recapitate. Come la testa di capretto ritrovata a febbraio, infilzata con un grosso pugnale e appesa alla finestra dello studio legale di un penalista di Mattinata, centro sciolto per infiltrazioni mafiose a marzo 2018. La matrice non è sempre quella mafiosa: sempre più spesso ha a che fare con disagio sociale e richieste di lavoro, oltre che con i temi dell’immigrazione e dell’accoglienza ma gli inquirenti parlano anche di una possibile saldatura tra i gruppi storici della Città metropolitana e altri clan operanti in altre province della regione. Primo fra tutti il processo di avvicinamento tra camorra barese, mafia foggiana e Sacra Corona Unita. Il 75% degli eventi intimidatori avviene tra i territori del Leccese, della Capitanata e della provincia capoluogo. Anche Carovigno e San Severo, inoltre, tra i sedici centri finiti nel novero dell’associazione nell’ultimo triennio.