C’è da dubitare di chi diventa giornalista a 20 anni. A meno che con il latte nel biberon e la brioche al mattino il talentuoso non abbia prematura dimestichezza con la lettura dei quotidiani e la scrittura di articoli già da qualche anno addietro. È il caso del ministro Luigi Di Maio che prima di andare a vendere bibite sulle gradinate dello stadio San Paolo, nel 2007 ottenne dall’Ordine della Campania l’iscrizione nell’albo dei giornalisti pubblicisti. Per chi non mastica la materia spiego che per avere diritto all’iscrizione è necessario aver fatto gavetta, aver cioè collaborato con una o più testate giornalistiche per almeno due anni e aver prodotto un certo numero di articoli. C’è di più che la documentazione deve essere accompagnata dal versamento dei contributi alla Cassa previdenziale della categoria con annessa certificazione di avvenuta retribuzione dell’attività pubblicistica svolta. Ipotizzando che le carte siano in regola, seppure con qualche personale e italico dubbio, l’accertamento dei requisiti spetterebbe all’Ordine della Campania se ne avesse il coraggio e la dovuta determinazione.
Di Maio cominciò la sua “florida” produzione di articoli sportivi in un periodico online similparrocchiale e poi in un giornalino studentesco della facoltà di Giurisprudenza, corso di studi che abbandono’ perché leggi e ordinamento forse non interessavano più al cospetto di una più rosea carriera pentastellata come difensore dei diritti degli italiani. Dell’attività pubblicistica del Di Maio giornalista è rimasta però solo qualche sparutissima e insignificante traccia. Un altro giornale digitale della provincia conserva nei suoi archivi un’unica testimonianza del Di Maio reporter. Di anni da quel momento ne sono passati appena 12. Tutti sanno poi come è andata a finire: Di Maio vicepremier e ministro che odia i giornalisti. E dunque se stesso. Anche se all’epoca raccontava più di palle rotolanti sul tappeto erboso che di tutto il resto. Ma non è questo il punto quanto la sospetta regolarità della sua posizione, ovvero la sussistenza dei requisiti che consentono al vicepremier di essere ancora iscritto all’Ordine. Qualche tempo fa il Consiglio Nazionale ha disposto che gli Ordini regionali procedano alla revisione degli elenchi dei pubblicisti e che in caso di inattività da due anni gli stessi debbano essere cancellati dall’Albo. Immagino che nessuno si sia posto ancora il problema sebbene le verifiche andrebbero fatte per giustizia ed equità nel rispetto dei tanti che si sono visti epurati dagli elenchi.